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sabato 25 febbraio 2017

In Basilicata, vorrebbero darcela a bere con il petrolio


Le attività sulla produzione degli idrocarburi in Basilicata vanno fermate.
Bisogna sostenere la petizioni online lanciata dall’Ass. ScanZiamo le Scorie che sta chiedendo alla Regione Basilicata di aprire una moratoria per interrompere le attività sugli idrocarburi.
Carta dei titoli Per gli idrocarburi
Ma spieghiamo anche le motivazioni provando a dipingere sinteticamente un quadro sul petrolio in Basilicata, argomento che ho avuto modo di approfondire durante gli studi di laurea e sul quale continua l’attenzione. 

Dal 2000, mi muovo nel territorio lucano, consultando uffici comunali e partecipando alle iniziative dei movimenti spontanei di cittadini. 

Già diversi anni fa, con gli amici di SOS Lucania, i movimenti e il Professor Nico Perrone si provò a sfatare il mito dell’oro nero. Tra i movimenti, c’era anche la voce alta della conferenza episcopale con Monsignor Agostino Superbo che lanciò un monito contro le attività estrattive degli idrocarburi, produttrici di “sviluppo distorto” nella Basilicata. Per Superbo i pozzi di petrolio sono delle “strutture di peccato” per le quali è “necessario uno stop”.

Le denunce arrivavano (e arrivano tuttora) alla testa e al cuore della gente, non erano inascoltate. Ma il miraggio dell’oro nero, sponsorizzato dai politici di quasi tutto l’arco istituzionale dei partiti di allora, era forse troppo ghiotto per non rischiare. 

Cartoografia area Val d'Agri
La realizzazione del progetto petrolio in Basilicata è proseguita negli anni animando un conflitto sociale che può essere sinteticamente letto e motivato sotto diversi aspetti: le autocisterne uscite fuori strada, le fiammate del centro oli di Viggiano (PZ), i primi problemi nel bacino del Pertusillo, quelli al pozzo di Costa Molina, i problemi alla salute degli abitanti delle zone adiacenti all’impianto di Tecnoparco a Pisticci (MT) in cui vengono trattatele acque reflue del petrolio, gli arresti in seguito alle indagini del Noe, il risultato del referendum contro le trivelle (il quorum è stato raggiunto solamente in Basilicata, sic!) fino all’ultimo episodio denunciato dalla conferenza stampa di Maurizio Bolognetti e il volo del drone di Michele Tropiano che ci ha portato a conoscenza dei colori oscuri presenti nell’acqua del Pertusillo. 

Alcuni di questi aspetti sono stati ben raccolti nel video “Mal d’Agri” di Mimmo Nardozza. Non mancano neanche studi e testimonianza più scientifiche raccolte nei tenti incontro che si continuano a svolgere in Basilicata.

Tanti aspetti che rappresentano una situazione chiara, da rendere lapalissiana ed esaustiva allargando la riflessione al monitoraggio presente sulle attività estrattive in Basilicata.

Il Protocollo di intenti tra ENI e Regione Basilicata del 1998, in gran parte disatteso, prevedeva quale misura di compensazione ambientale in relazione al progetto di sviluppo petrolifero nell'area della Val d'Agri l’istituzione dell’Osservatorio  Ambientale “Val D’Agri”. Basta andare sul sito internet dell’Osservatorio per capire la situazione. La sezione online sulla produzione e le royalties non offre alcun dato ed è sempre in aggiornamento. A che scopo? Quella sul monitoraggiodelle acque superficiali e di reignezione sono inaccessibili.  Non è possibile che la Regione Basilicata abbia gli strumenti per effettuare un reale monitoraggio sull’attività e non li utilizzi.

Il buio intorno al petrolio è stato ben descritto anche dall’approfondimento realizzato dalla ricerca “Petrolio e biodiversità in Val d’Agri - Linee guida perla valutazione di impatto ambientale di attività petrolifere onshore”, curata da Alberto Diantini e pubblicata dall’Università di Padova nel maggio 2016. Dalle conclusione emerge che non è stato possibile utilizzare le linee guida per esaminare il caso di studio della Val d’Agri al fine di avere un’analisi completa degli impatti previsti e presenti per le attività produttive realizzate nella concessione. “Tale risultato non è attribuibile ad errori  compiuti nella definizione delle linee guida, bensì alla non disponibilità degli Studi di Impatto Ambientale relativi a buona parte degli impianti di estrazione presenti e all’impossibilità di recarsi all’interno delle aree pozzo per più dettagliate osservazioni sul campo. È mancata quindi la possibilità di verificare se le misure preventive e mitigative previste dagli Studi di Impatto Ambientale siano state concretamente realizzate a livello delle aree pozzo. In qualche modo è venuta così a mancare la possibilità di verificare la continuità tra la fase progettuale e quella operativa, tra valutazione ex ante e monitoraggio ambientale in itinere per individuare elementi utili a migliorare sia la performance della VIA sia a migliorare le performance ambientali delle operazioni.” L’esame, pertanto è stato limitato e non esaustivo. Effettuato sulla base di  fotografie e osservazioni dall’esterno delle recinzioni che delimitano le aree pozzo, la relazione tra misure adottate nella concessione “Val d’Agri” e le linee guida. Viene segnalato inoltre “la  sostanziale mancanza di trasparenza da parte di molte pubbliche amministrazioni contattate in merito e il generale disinteresse manifestato da Eni nei confronti della richiesta di informazioni. 

Manca la trasparenza e conseguentemente i controlli su tutta la filiera delle attività estrattiva degli idrocarburi. Potrebbe essere interessante da parte della Regione Basilicata e delle istituzioni competenti ai controlli la pubblicazione di una ricerca sulle informazioni che riguardano l’attuazione da parte di Eni delle prescrizioni del 1999 individuate dal Ministero dell’Ambiente nei decreti di pronuncia di compatibilità ambientale per alcuni dei progetti relativi alle concessioni di coltivazione di idrocarburi e al “Centro Olio Val d’Agri”. In questo modo potremmo verificare e valutare l’operato di Eni in merito all’ottemperanza degli obblighi previsti dalle prescrizioni ministeriali. Un lavoro che dovrebbe essere tenuto per tutte le compagnie.
Sversamento di petrolio dall'oleodotto a Bernalda (MT)

Inoltre, dal punto di vista sanitario la situazione diventa ancora più oscura. Non ci sono studi oltre gli annunci sull’impatto sanitario nell’area per capire se vi sia un’incidenza negativa delle attività petrolifere sulla salute umana. 

Informazioni più precise si hanno invece sulle royalties di circa 150milioni di euro all’anno, che secondo la relazione della Corte dei Conti del 2014 sono state spese in modo anomalo. Va considerato che dal 2016 il gettito delle royalties si è ridotto per una diminuzione della produzione di idrocarburi. Rischiamo di perdere un ulteriore 20% delle royalties riconosciute sul gas in seguito ad un ricorso delle compagnie petrolifere vinto al TAR ed ora in Consiglio di Stato.

Interessante segnalare la presentazione sugli “Idrocarburie l’occupazione in Basilicata” di Ivano Scotti dell’Università di Napoli da cui si può trarre una riflessione anche sugli impatti occupazionali, del tutto disattesi rispetto alle premesse, tanto che l’area interessata dalle concessioni Val d’Agri, nel 2012 è considerata dal Rapporto Svimez sullo stato dell’economia della Basilicata tra le “aree urbane in difficoltà”.

Nonostante la sintesi dei riferimenti utilizzati per provare a colorare il quadro che abbiamo realizzato, e in attesa di una valutazione istituzionale più approfondita che potrebbe anche smentirci, possiamo desumere che il petrolio per la Basilicata e i Lucani non ha prodotto ricchezza. 

Anzi contrariamente a quanto propagandato, le attività estrattive hanno tradito le speranze alimentando episodi che non agevolano un clima di fiducia e di dialogo fra istituzioni e compagnia produttrice da un lato e stakeholder dall’altro, in un contesto ormai caratterizzato da difficoltà, conflitti e problematiche di accettabilità sociale manifestate sempre in modo più sovente. 

Perché la Basilicata non è più quella descritta nel “Cristo si è Fermato ad Eboli” di Carlo Levi in cui “nessuno ha toccato questa terra se non come un conquistatore o un nemico o un visitatore in comprensivo”.

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